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Federico Zuccari e la professione del pittore

2023 - Artemide

293 p. : ill. (some col.).

  • Includes bibliographical references (267-288) and index.
  • Federico Zuccari (1539/1540-1609) «mandò in stampa alcune sue bizzerrie, e pen- sieri circa la nostra professione». Così scriveva nel 1642 Giovanni Baglione, che con lui aveva vissuto la stagione eroica del principio dell'Accademia dei pittori, scultori e architetti romani. Quelle stampe famosissime, i suoi «pensieri circa la professione», erano invenzioni morali che traevano occasione dai fatti "realmente accaduti" per assumere forma di favola e divenire materia comune di riflessione e insegnamento. Ammantate di una veste allegorica tanto eloquente da modellare l'immaginario so- ciale degli artisti europei per oltre un secolo, tali invenzioni erano rivolte principal- mente ai giovani pittori, che andavano instradati per l'arduo cammino della virtù, fatto di studio e fatica intellettuale, e sottratti alla dimensione del lavoro meccanico della bottega e alla logica vile del mero guadagno, come anche alla servitù nella cor- te, alla mortificante dipendenza dal principe di turno.
  • Zuccari, pittore e intellettuale inquieto e coraggioso, viaggiatore e utopista, aveva formato la propria "moderna" sapienza mediatica in gioventù, a Venezia, nella bottega di Tiziano e a stretto con- tatto con il mondo della tipografia. La Venezia dei "poligrafi", di Pietro Aretino, Anton Francesco Doni, Lodovico Dolce, era un mondo di pensiero che lo conquistò definitivamente e gli prestò i propri temi: quello anticortigiano e quello, economico, del giusto compenso delle fatiche dei "poveri virtuosi", dell'onorato riconoscimento della virtù, presupposto necessario a una possibile autonomia del lavoro "culturale"; gli diede, infine, la prospettiva dell'accademia, regno ideale della concordia tra le arti e, nella realtà, punto di arrivo necessario al riscatto sociale delle professioni "del disegno".
  • Così, già in vita, Zuccari divenne per i pittori, non solo romani, il prota- gonista leggendario di battaglie combattute apertamente («io sono huomo schieto e senza artifitio alcuno dico la verità») e sempre in nome della libertà della virtù e dei virtuosi, perché, come ebbe a dichiarare, impavido imputato in un procedimento giudiziario, «la virtù nel bianco scrive quel che li pare» [Testo dell'editore].
  • F. Zuccari (1539-1609).